Nell’antico convento del Santuario di Greccio, l’antico refettorio conserva un piccolo camino restaurato e una vasca che probabilmente serviva per lavare le stoviglie. Qui avvenne un episodio narrato da Tommaso da Celano. Era il giorno di Pasqua, e i frati avevano allestito la tavola in modo più accurato, apparecchiando con candide tovaglie e bicchieri di vetro. Il santo che tornava dalla sua preghiera, non apprezzò quella mensa rialzata da terra e preparata con inutile ricercatezza. Il biografo annota che «se la mensa ride, egli non sorride affatto». E qui il Poverello ricorre a tutta la sua creatività artistica, inscenando una sorta di rappresentazione: si pone in testa il cappello di un povero, e impugnando un bastone esce fuori, aspettando che i frati inizino a mangiare, perché non erano soliti aspettarlo quando non giungeva all’orario del pasto. Non appena iniziano, ecco Francesco che si mette a gridare: «Per amore del Signore Iddio, fate l’elemosina a questo pellegrino povero e ammalato». I frati stanno al gioco, sapendo che quando egli si comportava così ci sarebbe stato un rimprovero o un insegnamento. «Entra pure qui, tu, per amore di colui che hai invocato», gli rispondono i frati, che subito gli danno una scodella, ed egli, sedutosi per terra, la pone sulla cenere. «Ora sì, sto seduto come un frate minore!».
Cosa voleva dire Francesco? Che la povertà del Figlio di Dio deve stimolare i frati più degli altri religiosi. Il male non risiede in una mensa preparata con ricercatezza, ma nel dimenticare che essi sono poveri che vanno di porta in porta.
a cura di padre Renzo Cocchi