Il Presepe di Leonessa
Chiesa di San Francesco - Leonessa
Nella parete di fondo dell’omonima cappella si trova collocato su tre ripiani un monumentale e suggestivo presepe in terracotta policroma, risalente ai primi del XVI secolo; opera pregevolissima di figuli abruzzesi, presumibilmente di Paolo da Monte Reale detto l’Aquilano, o della sua scuola. Questo artista apparteneva alla tradizione di quelle scuole minori di mastri figurinai – escluse dalle grandi vicende dell’arte rinascimentale ed in via di affermazione a partire dalla fine del XV secolo, in alcuni luoghi periferici dell’Italia centromeridionale, dell’Abruzzo, della Campania, della Basilicata, della Calabria, della Sicilia – che dettero vita alla tradizione dei presepi plastici costituiti da figure a tutto tondo collocate su di uno sfondo tridimensionale. In quasi tutte queste opere compaiono elementi di regionalizzazione dell’immagine tradizionale della Natività, fra i quali spiccano gli strumenti musicali dei pastori, le fattezze dei loro volti e dei loro abiti.In merito agli strumenti presenti nel presepio di Leonessa, occorre menzionare una zampogna a due flauti impiantati su di un unico blocco, portata in braccio ad un pastore. Si tratta della prima raffigurazione in un presepe di tale strumento, caratteristico di alcune regioni centromeridionali (Lazio, Campania, Molise ecc), che viene ancora usato ad Amatrice ed in altri paesi dell’alta valle del Tronto.
Per ciò che riguarda gli abiti e i volti va detto che essi sono improntati al più rigoroso verismo, rispettando in pieno i tratti somatici delle genti rurali UmbroAbruzzesi. I rudi lineamenti di questi pastori e popolani (ma anche di S. Giuseppe) ed il loro abbigliamento trasandato, sembrano opporsi radicalmente a quelli raffinati e sobri dei Magi (terzo ripiano) e degli altri personaggi a cavallo della loro carovana (secondo ripiano). Questo presepe può essere considerato il prototipo anche per quanto riguarda la rappresentazione di figure femminili che, nelle altre opere, si andranno affermando nei primi decenni del XVI secolo. Ci riferiamo alla donna con la bambina che porta un cesto di piccioni ed affettuosamente chiamata dai leonessani “Popa có li picciuni”. L’opera ha subito diversi restauri tra cui quelli del 1916, e del 1954 e di recente. Attualmente il numero dei personaggi è di 37 figure più il bue e l’asinello. I leonessani sono sempre stati visceralmente attaccati al loro presepe; ne sono testimonianza l’uso di termini dialettali per designare le figure (Popa có li picciuni, Meone che guarda la stella, Giovacchinu lu ciaramellaru: per tutte le altre si usa il generico maggiu al singolare – che in dialetto si dice di persona ottusa, impacciata nei movimenti – e maggi al plurale) e l’episodio dell’esposizione dell’opera alla biennale di Venezia, durante la fine del ventennio fascista. Il Priore della Confraternita, Vincenzo Conti, i confratelli e il popolo tutto si opposero energicamente al trasferimento temporaneo (oggi possiamo dire a ragione, considerato l’imminenza degli eventi bellici) temendo che potesse diventare definitivo e dannoso per l’opera. Un ruolo fondamentale nella vicenda ebbero le donne leonessane, in particolare le più anziane che per alcuni giorni occuparono il sagrato della chiesa impedendo a chiunque di entrare. La situazione precipitò ulteriormente con l’avvicinarsi del giorno del prelievo del presepe, quando alcuni inservienti tentarono di entrare all’interno del tempio. Il popolo, allora, allertato dal suono delle campane a distesa, accorse numeroso a dar manforte alle donne che ricacciarono indietro i malcapitati. A nulla valsero i tentativi di mediazione delle autorità locali né quelli più energici della polizia fatta venire da Rieti: “Qui non s’entra” – gridarono le donne leonessane. Gli organizzatori del trasporto e la polizia, visto la malaparata, furono costretti ad abbandonare di gran lena il paese, e il presepio fu salvo.
Tratto da “Leonessa la città di san Giuseppe, scoprire Leonessa attraverso parole ed immagini” Testo di Luigi Nicoli