La seconda opera del maestro Francesco Artese è ambientata nel borgo di Poggio Bustone: sono sapientemente narrati i cinque momenti salienti della vita spirituale del Santo vissuti proprio in quegli ameni luoghi. Francesco giunge nella valle reatina nell’estate del 1208. Il suo saluto “Buon giorno buona gente” con cui egli desidera augurare il bene a coloro che incontra sul suo cammino, riecheggia fra le vie del borgo. Il peso dei peccati della sua giovinezza lo fa però piombare nello smarrimento. E’ tormentato e si chiede se Dio possa davvero perdonare il suo passato.
Decide allora di rifugiarsi sulla montagna per piangere e pregare. Ecco allora accadere l’insperato: la luce sfolgorante di un angelo illumina le tenebre della notte e del suo cuore. I peccati sono perdonati, le sue colpe cancellate! Francesco pieno di gioia torna dai suoi fratelli e annuncia che Dio è perdono e misericordia. Insieme ai suoi compagni parte in missione. I loro passi sono accompagnati dalla luce di un nuovo giorno. Ma il messaggio del Poverello non conosce confini né diversità religiose: per questo egli si reca dal Sultano per donargli un messaggio di amore.
Ottocento anni sono trascorsi dall’incontro con il sultano Malik al-Kamil, da quando partì una spedizione del tutto improvvisata e munita del solo scudo della fede, in cui “Francesco accompagnato da Illuminato da Rieti, si mise alla ricerca del suo interlocutore senza alcun interprete e senza alcuna mediazione”.
L’incontro, come è noto, «si risolse in un nulla di fatto, ma è un fatto cui ispirarsi anche oggi». Perché a trovarsi di fronte furono due personaggi tanto diversi, eppure capaci di farsi vicini: «l’uno si recò nell’accampamento avversario; l’altro l’accolse amorevolmente e lo curò molto umanamente nella sua malattia».