Le Fonti francescane, rispondendo ad un intento puramente agiografico, non prestano spazio agli elementi di contesto che tanto stanno a cuore alla sensibilità ed alla metodologia di ricerca propria dello storico moderno.
Nessuno degli episodi narrate dal Legendario francescano vi colloca la presenza di Francesco d’Assisi, ma è quasi inevitabile immaginare il Santo raccolto in preghiera nella quiete della cattedrale di Rieti, intitolata a Santa Maria madre di Dio.
La cattedrale basilica è documentata fin dal 598: da almeno mezzo secolo, esisteva già nelle sue immediate vicinanze la sede vescovile.
Del primitivo complesso episcopale restano tracce suggestive in alcuni reperti marmorei, capitelli e tarsie cosmatesche, conservati in parte presso la sezione archeologica del Museo Civico, in parte presso l’antico palazzo Capelletti.
Agli inizi del XII secolo, il vescovo Benincasa promosse la costruzione di una nuova basilica, sorta sul sito della precedente, per accogliere degnamente l’accresciuto popolo dei fedeli.
La prima pietra fu posta il 27 aprile 1109, stando al testo dell’epigrafe posta presso il loggiato delle benedizioni dell’episcopio. Il 1 settembre del 1157 fu consacrata la basilica inferiore o cripta, a cui seguì, il 9 settembre 1225, la consacrazione della basilica superiore.
All’innesto dei bracci della croce latina dell’aula basilicale si aprono a destra e sinistra le porte che, attraverso due scalinate, danno accesso alla cripta: la basilica inferiore della cattedrale si estende infatti per l’intera area del soprastante transetto.
La scala di destra, più comoda ed agevole, fu costruita negli ultimi anni del XVI secolo, mentre l’altra ha conservato il primitivo assetto.
La cripta si articola in un’absidiola ad emiciclo, a cui si accede attraversando un ambulacro suddiviso da nove navatelle. Queste sono scandite da sedici colonne, provenienti da edifici preesistenti: una di esse è un’antica colonna miliare della consolare Salaria che attraversava la città formandone il cardo ed il decumano maggiore.
Vi si legge agevolmente l’iscrizione in capitale romana:
XXXXII
DDD. NNN. FFF.LLL.
VALENTINIANO VALENTI ET GRATIANO
PIIS FELICIBUS
AC TRIUMPHATORIBUS SEMPER AVGGG. BO
N. R. P. N.
VOTIS X
MVLTIS XX
Due delle colonne che sostengono le arcate, abbinate ad altre due poste dietro all’altare, costituiscono un primitivo ciborio.
Testo a cura di Ileana Tozza