La Valle del Primo Presepe è il luogo in cui san Francesco trovò riparo e pace. E il cammino compiuto dal Poverello nella Valle Santa reatina si può ripercorrere ancora oggi. Immerso nella natura, il percorso è articolato in cinque tappe che conducono il pellegrino ai santuari di Poggio Bustone, Greccio, Santa Maria della Foresta, Fonte Colombo e al Tempio Votivo sul monte Terminillo.
Nel difficile momento storico che stiamo vivendo, il leitmotiv è «restate in casa» e di conseguenza il Cammino di Francesco non è praticabile. Ma in attesa che l’emergenza abbia fine, lo si può percorrere come itinerario virtuale: non si godrà dal vivo dei paesaggi e dell’incontro spirituale con i religiosi che abitano e custodiscono i luoghi, ma una volta la settimana i loro messaggi e le loro riflessioni troveranno spazio sul sito www.valledelprimopresepe.it e sui social correlati.
La prima voce arriva dal Santuario di Poggio Bustone, protagonista della terza edizione della Valle del Primo Presepe grazie all’opera monumentale Dal Perdono alla non violenza, realizzata dal maestro Francesco Artese.
Apre la rubrica padre Renzo Cocchi, che invita a vivere questo tempo come un’occasione di riscoperta di se stessi e delle relazioni personali.
Tempo di Quaresima o tempo di quarantena? Entrambe le parole evocano il numero quaranta, assai caro alla tradizione biblica: quaranta sono gli anni che il popolo di Israele passa nel deserto, quaranta i giorni di Mosè sul Sinai o quelli che Gesù trascorre in solitudine, insomma un numero che dice qualcosa alla nostra vita.
Molti ci chiedono come noi frati stiamo vivendo il tempo del covid-19; in effetti lo scenario non è molto diverso dal tempo “della normalità”; il santuario di Poggio Bustone, pur se frequentato nel periodo estate-autunno, durante l’inverno e inizio primavera si trasforma in un vero e proprio eremo, dove non giungono i rumori della civiltà, ma il suono dell’acqua o il soffio del vento che spira vigoroso.
La Clausura “forzata” che molti stanno vivendo, per un frate non è una costrizione. In effetti si dovrebbe essere abituati a restare in casa, luogo da custodire e dove farsi trovare, sapendo bene che il convento non è un museo che, pur custodendo opere d’arte, è soprattutto luogo della preghiera e dell’incontro.
Essendo in tre, non ci è difficile stare a distanza di sicurezza, come ci consigliano caldamente virologi o uomini di Stato, ma gli spazi sono comunque abitati dal desiderio di servire il Signore anche in momenti così particolari.
Cosa abbiamo compreso in questi giorni?
Che la distanza dalle persone che abitualmente incontriamo non è motivo di tristezza; al contrario è l’occasione di purificare tante relazioni e di vivere in comunione di preghiera, dove nella fede restiamo più che mai uniti, tutti stretti a Cristo e sotto il manto di Maria. Quest’anno i vari camminatori che sostano nel nostro Santuario, non ci saranno o comunque ne potranno arrivare pochissimi; ma questo non toglie che grazie ai social siamo rimasti in contatto con coloro che si sono fermati qui, e che ci danno notizia di come stanno affrontando questa pandemia nei luoghi dove vivono.
Che si può abitare un tempo sospeso recuperando un ritmo “umano”, contrapposto a quella quotidiana corsa frenetica, che aveva contagiato anche noi religiosi. Stiamo riscoprendo il gusto delle cose semplici, della possibilità di leggere un libro, di dedicarci con più serenità al lavoro esterno o alle mansioni domestiche, di rispondere alle tante richieste di preghiera che presentiamo al Signore nella Messa celebrata individualmente.
Che questo periodo non è “punizione” ma “occasione” per rileggere alla luce della Parola di Dio la nostra vita e la nostra vocazione, per essere sempre più somiglianti nella carità al Signore della vita.
A volte mi sento privilegiato, soprattutto quando penso a alle persone che devono vivere la quotidianità chiuse fra quattro pareti, in angusti appartamenti di città e senza un pezzo di verde da contemplare. Penso a coloro che hanno contratto il virus e vivono momenti di isolamento; penso ai tanti anziani tappati in casa o che si sono contagiati nelle case di riposo, agli autistici messi a dura prova nel loro fragile equilibrio; penso ai tanti morti decimati da questa guerra impalpabile; penso ai medici e ai volontari, a tutte quelle persone che si danno da fare per essere vicini al prossimo.
Per chi è in salute, restare in casa non è una sciagura, è luogo dove custodirsi e magari ritrovarsi.
Frate Renzo F. Cocchi
Foto di Leonardo Ciace